Welcome to BioSphere
image border bottom

Le mie donne mitiche

giugno 11, 2020 Author: Margherita Bertella Category: Senza categoria  2 Comments

 

 

IMG_20200611_113309

La mia raccolta poetica “Il mito al femminile” risale al 2016, pubblicata dalla casa editrice Helicon di Poppi (Arezzo).

Amo tutte le mie “creature”, ma queste in particolare mi rispecchiano. Sono poesie nate parallelamente allo svolgersi del corso di scrittura e lettura “l’Officina dello scrivere ad alta voce”, che nell’autunno 2014 vide la luce qui, alla Spezia, da un’idea e una pronta collaborazione tra me e l’amica collega Rosa Anna Ianni. Il tema del corso di quell’anno era: “La donna in letteratura”, intendendosi donna come protagonista di storie incentrate su di lei, ma anche donna come autrice essa stessa, argomento vastissimo ed inesausto. Avevamo cominciato dai primordi, dalle figure femminili della Bibbia, passando via via attraverso il mito, il mondo greco latino ecc. A questo punto, mi erano venute a trovare (perché sempre così accade: non sono io a cercare i protagonisti, i “personaggi” dei miei scritti, o   come volete chiamarli, ma sono loro che si presentano a me e chiedono di essere ascoltati), mi erano venute a trovare, dicevo, le dee dell’Olimpo, ed anche alcune eroine del mondo epico, della tragedia greca, e perfino creature “mostruose” che mai personalmente avrei cercato…
Venivano a chiedermi, forse, giustizia. E una voce femminile che desse spazio alle loro voci. Un punto di vista differente da quello maschile, seppure immenso, che le aveva create. Non potevo che ascoltarle. E non me ne sono pentita.
Perché loro sono straordinariamente vere ed attuali, trasposte nel mondo contemporaneo, sono vive, soffrono e gioiscono e s’indignano, chiedono rispetto e attenzione, svelano verità nascoste, non si lasciano abbattere dalle delusioni né dagli abbandoni, sono donne che sanno risorgere e rinnovarsi ogni giorno. Non sono pupattole rifatte, naso bocca tette gonfiate.. o simili, la loro bellezza è naturale ed interiore, ognuna ha un’anima da espandere, una voce, un canto, una vibrazione, un suono da lanciare fuori. Non sopportano di essere imbavagliate, etichettate, schedate, omologate. Si offrono, si aprono, si denudano, si amano. Sono donne che, attraverso le prove della vita, hanno imparato ad accettarsi e, seppure faticosamente, ad amarsi.
Colgo l’occasione, essendomi stato proposto recentemente da Susanna Musetti, artista creativa ella stessa e fondatrice del Premio letterario “Città di Sarzana” a cui ho partecipato vari anni come concorrente e come giurata, di parlare di questo libro online, in attesa di questo gradito collegamento (il cui risultato è un’incognita, data la mia scarsa abilità tecnologica) colgo l’occasione appunto, per  riprendere alcune di queste figure femminili e dedicare loro, una alla volta, lo spazio che meritano su questa mia “rubrica” o “blog” o come vi pare chiamarlo. Comincerò con Athena, la cui poesia è stata apprezzata e scelta per essere inserita in numerose antologie. Lei, apparentemente così “fredda” e “corazzata” e “rigida”, credo si sia persino un poco stupita, forse avrà lanciato un urlo belluino… uno dei suoi.

A risentirci con Athena, quindi.

Fili di perle, fili di parole

giugno 04, 2020 Author: Margherita Bertella Category: Senza categoria  0 Comments

 

IMG-20200601-WA0005IMG-20200601-WA0024IMG-20200601-WA0004IMG-20200601-WA0028IMG-20200601-WA0022IMG-20200601-WA0017IMG-20200601-WA0010IMG-20200601-WA0013IMG-20200601-WA0016

In genere su questo mio piccolo sito parlo di scrittura, narrativa e poesia, parlo del laboratorio di lettura e scrittura che tengo con la mia amica Rosanna Ianni, la nostra “Officina dello scrivere ad alta voce”, presento i miei libri, faccio recensioni di altri che amo…
Stavolta vorrei dire due parole su una donna creativa, un’artista nel suo campo. Personalmente non ho ancora avuto il piacere di conoscerla, ma non dispero di poterla un giorno incontrare.
Lei è Alessandra Mugnaini, orafa, cesellatrice, creatrice di meraviglie, ha il negozio in centro a Siena, vicino alla magica Piazza del Campo. A Siena sono stata un’unica volta: frequentavo il Liceo, ero in gita con la classe. Mi rivedo come fosse ora  scesa dal pulmann,  vomitare anche l’anima, mentre alcuni compagni dall’alto dei finestrini mi osservavano sghignazzando… Solite scene: la crudeltà dei ragazzi, la mia umiliazione per il fatto di essere d’impaccio all’autista, allo svolgimento della gita, a tutto il gruppo, oltre che per sentirmi sbeffeggiata invece che capita… Però la città mi era piaciuta molto (per quel poco che si riesce a vedere in viaggi simili). Se ci tornassi, tra le sue meraviglie passerei senz’altro a visitare il negozio di Alessandra, con le sue creazioni esposte in vetrina: orecchini, collane, monili di ogni tipo ma soprattutto originali, artigianato finissimo, frutto di pazienza certosina, unita ad un talento notevole.
La manualità m’incanta sempre, la capacità di modellare con le mani, dare vita tangibile alla propria interiorità, perché dentro di noi abbiamo tesori inestimabili da esplorare, di cui spesso nemmeno intuiamo l’esistenza. Un artista riesce a trarli fuori. In vario modo, in vari campi, e a stupire. Perché l’arte non è sapere, ma stupore (non ricordo chi l’ha detto, ma concordo in pieno).
Alessandra vive col marito in natura, abita in un luogo affascinante nella zona delle crete senesi, una specie di fattoria che accoglie i suoi amici animali: ha adottato nove cani salvandoli da brutte situazioni (è anche volontaria al canile), a cui si aggiungono una capretta e il suo amato cavallo. Questo è un altro punto a suo favore: ammiro chi riesce a compiere scelte non facili e decide di vivere fuori dagli schemi. Un altro ottimo motivo per andarla a trovare. Di lei possiedo un bellissimo ciondolo per collana formato da un cerchio a cui è avvinghiata la sagoma di un gatto, donatomi  in cambio di un mio cavallo disegnato ad acquerello, che le avevo inviato tramite Patrizia (che è stata il nostro “filo conduttore”).

Applausi ad Alesandra quindi, e… se passate da Siena, tenetela presente.

 

Alla lavagna!

maggio 28, 2020 Author: Margherita Bertella Category: Senza categoria  0 Comments

 

downloadlava

“Bertella, alla lavagna!”
Quarta o quinta elementare, non ricordo bene, ma insomma… giù di lì.
Risuonava imperiosa nell’aula la voce un po’ roca e di solito dolce della mia maestra, a cui volevo un bene sincero e disinteressato, ma in questi casi avrei desiderato trasformarmi in un topolino e scomparire alla vista dentro qualche buco sottoterra.
Perché non mi chiamava per interrogarmi, nossignori, sarei andata abbastanza serena, conscia di essermi preparata seriamente; era molto peggio: accadeva che, a volte, chiamata in presidenza per motivi molteplici, mi scegliesse (me, sempre me, accidenti!) per “vigilare” sulla classe in sua assenza, gettandomi in un imbarazzo devastante.
Mi consegnava un gessetto, raccomandando di segnare con quello sulla lavagna i nomi di chiunque, comportandosi da maleducato, disturbasse la quiete pubblica (citazione testuale).
Alzandomi dal banco sentivo le gambe tremare, avvicinandomi alla postazione di “vigilanza” era anche peggio… pur senza fissare nessuna di loro, (era una classe di  sole femmine, c’è da dirlo, a onor del vero) avvertivo addosso gli sguardi delle mie compagne, avrei potuto “pesarli” uno per uno. Avrei voluto trattenere la maestra, tirandola per un lembo del grembiule nero che indossava con umile eleganza e pregarla di non lasciarmi sola a dominare l’orda barbarica, dirle che si sbagliava riponendo su di me il carico di un compito superiore alle mie forze… Ma ogni volta, inesorabilmente, lei mi sorrideva con miti occhi celesti (era un angelo, anche nel nome), poi volgeva uno sguardo fermo in panoramica sulla classe intera (non volava una mosca) e, senza aggiungere altro, spariva oltre la porta, richiudendola alle sue spalle.
Rimanevo immobile, statuaria,  alle spalle avevo la lavagna e il gesso fra le dita; sentendomi cretina e inerme in massimo grado, fissavo un punto sul muro in fondo all’aula, dritto davanti a me, non osando porre lo suardo su nessuno… Per circa uno, due minuti non accadeva nulla, dopodiché al cenno di qualche “gladiatore” di turno si scatenava l’inferno.
Il peggiore “gladiatore” del branco era una bambina bene in carne, tracagnotta, con un caschetto di capelli biondi e lisci, rimasta a lungo nei miei incubi notturni.
Ricordo come fosse ora la volta in cui, una ventina di secondi dopo che la maestra era uscita, venendo avanti spavalda, si piazzò davanti a me a gambe divaricate e, fulminandomi con gli occhi a spillo nella faccia di luna piena, mi sussurrò satanica: “Se osi scrivere il mio nome, ti faccio un culo così!”, accompagnando la minaccia con un gesto ampio assai eloquente. Pure avvertendo il pericolo, nella mia abissale ingenuità credo di essermi chiesta in cosa consistesse nello specifico questa faccenda del culo… e restai come trasognata, rossa dalla vergogna di non riuscire a reagire, irritata contro me stessa per la mia inadeguatezza, a beccarmi successivi insulti e battute tipo : “Ti sistemo io, brutta stronza fetente, cocca della maestra!”
Dopodiché, voltasi alle fedeli del suo gruppo, che riuscivano a trascinare nella baraonda anche le meno scalmanate, scatenò l’ennesimo inferno… In quei frangenti succedeva di tutto, volava di tutto, schizzava di tutto… ogni tanto aprivo la bocca come a voler suggerire, pulcino pigolante :”Fate almeno un poco più piano, che sennò arriva il bidello!” ma dalle labbra non mi usciva suono.
Non so dire se avessero nella testa un campanello d’allarme, se sentissero gli ultrasuoni come i cani, ma inspiegabilmente l’orda si placava qualche manciata di secondi prima del rientro della maestra. “Sono state tutte brave? Non vedo nessun nome!”, mi chiedeva lei, meravigliata. Mi limitavo a un cenno di assenso, ansiosa di tornare al mio posto, anche se avrei voluto piangere. Non ricordo di avere mai segnato nessun nome , forse due o tre una volta, al culmine della disperazione, cancellati  però immediatamente. La tortura era finita.
Nel frattempo il gessetto si era sciolto fra le mani sudate.

Chissà perché mi è tornato alla mente tutto questo, ora che ho l’età della mia maestra all’epoca. Forse perché la vita è un cerchio e tutto torna. Una cosa la so, comunque: non credo che darei il gessetto in mano ad alcuno.

A tu per tu con me

maggio 14, 2020 Author: Margherita Bertella Category: Senza categoria  6 Comments

 

 

 

IMG_0281

Perché fa così paura tutto questo stare soli, stare fermi, stare chiusi? Perché siamo costretti a rimanere a tu per tu con noi stessi e non è una roba facile: sopportarci, dico. Andare d’accordo col nostro Io. Meglio filare via veloci fin dal mattino, macinare il tempo e i chilometri, via via, senza fermarci a pensare, tanto a che serve? Lo fanno i filosofi, i pazzi e i poeti, gli stralunati, quelli che cercano la luna nel pozzo e intanto cascano nel tombino.
Non sopporto il chiuso da sempre, credo di essere stata imprigionata in qualche vita passata, reclusa e inquisita, forse perfino torturata, lo sento, ne ho forte traccia in me, non sopporto le imposizioni, il sentirmi bloccata, impedita… fermata… che venga messo un ostacolo alla mia libertà, che può essere benissimo libertà di stare a casa, se però lo decido io.  Aggiungici l’angoscia che a volte attanaglia la gola, lo sgomento nel vedere scendere da un’ambulanza gente bardata da capo a piedi con tute bianche tipo astronauti, mettici la visione dei volti mascherati che incontri per strada e ti vien da chiederti se sei dentro un incubo, l’indignazione nell’incrociare parecchi idioti che non rispettano le regole e ingiuriano coloro che le seguono, nel trovare maschere guanti salviette, tutto gettato al suolo, via allo sbando… tanto la nostra Terra è la pattumiera dell’Universo e alla plastica aggiungiamoci anche questo, mettici il silenzio che ti urla in testa e vorresti urlare anche tu, mettici l’accumulo dei notiziari e le certificazioni da stampare, che ormai ci potresti fare una enciclopedia, mettici i discorsi, quanti… le immagini… strazianti…
Eppure. Ecco: eppure. Eppure sentire, come dice una splendida canzone di Elisa. Eppure sentire che c’è una lezione dentro tutto questo, che puoi spostare lo sguardo all’interno e guardarla in faccia la tua paura e farla sedere alla tua tavola, offrirle un posto accanto a te, vitto alloggio e ospitalità, finché vorrà. Smettere di lottare, lasciare fluire, scegliere la via del fiume che scorre, lasciare andare, lasciarsi andare. E quando ti viene da piangere, piangi pure, se hai voglia di ridere ridi e… di sognare a occhi aperti? Fallo. Capisci che stare nelle cose, concentrarti sulle piccole azioni quotidiane è salvifico, scopri che anche lavare a mano un foulard può darti sollievo, e stenderlo al sole, e fermarti a osservarlo svolazzare nel vento… Hai una pila di libri ancora da leggere? Entra nelle pagine e vola. All’improvviso, guardando la nebbia che nasconde la collina di fronte, ti salta in mente un verso? Prendi la penna e la poesia si sgrana sotto le tue dita. Sei come la Margherita di Cocciante e vorresti colorare tutti i muri? Hai ben due album di fogli per acquerello grana grossa ancora intonsi…che aspetti? Ti senti proprio tutta rotta nelle giunture, ti sembra di essere un fachiro indiano seduto sui chiodi? Forse è l’ora di riprendere un po’ di allenamento ginnico, fatto adagio, però con criterio, sennò non serve. Ora vorresti davvero un abbraccio? Di quelli stretti stretti… Ma va’?! Una scontrosa come te, che non li cerca e, a volte, se fanno il gesto, si scosta… E hai bisogno di sorrisi? Dio, quanto ti mancano i sorrisi. Comincia a farli tu, da quando ti alzi. Falli al giorno, al sole o alla pioggia, falli con gli occhi quando sei fuori, anche se la bocca è tappata da sto cavolo di maschera che ti appanna gli occhiali e ti fa prudere il naso… falli alla gente in fila lungo il perimetro del  supermercato, falli a quel cretino che ti si piazza davanti con disinvoltura e vuole avere ragione perché eri distratta e hai lasciato troppo spazio fra te e quello prima (non 15 metri come dice lui, sfottendoti). Falli alla vita ‘sti sorrisi, perché esserci è già un miracolo e nulla è scontato. Falli quando sei al telefono con le tue amiche, falli anche a quella del call center del Folletto che ti chiama ogni giorno… Non lasciarti spegnere, perché sei luce, tutti lo siamo, e dentro te c’è la Forza, una grande forza… non saresti arrivata fin qui senza di lei. Hai attraversato prove importanti, se ti guardi indietro ti stupisci tu stessa e ti chiedi come… come ci sei riuscita. Eppure. Questa è un’altra prova di resilienza. Durissima. C’è dentro tutto il mondo. Accettala.
Prendine atto e vai avanti. Hai ancora delle cose da fare, da dire, da donare. Poco importa sapere quali. Ti toccano. Sennò non saresti qua. Non avevi bisogno di questo cataclisma per fare introspezione? Hai sempre coltivato l’interiore più dell’esteriore? Forse è giunta l’ora di curare anche l’altro aspetto. Di mettere insieme mente e corpo, che in te non sono proprio equilibrati. Hai ancora tanto da imparare. Come dici… è troppo tardi, ora che ti senti sospesa sull’orlo del baratro? Ma è proprio su quell’orlo che la gabbianella ha capito che “vola solo chi osa farlo.”

L’Officina è in fermento

aprile 28, 2020 Author: Margherita Bertella Category: Senza categoria  0 Comments

 

pennaoca2

Sono lieta di annunciare che la nostra “Officina dello scrivere ad alta voce” non solo non ha mai chiuso, ma continua a produrre anche in questi mesi particolari.
Ci è stato impedito di continuare ad incontrarci, ma siamo rimasti un gruppo unito e produttivo, “in fermento”.
Trovo che, in tempi simili, dedicarsi alle proprie passioni sia un toccasana fondamentale, una medicina necessaria per l’anima, utile per non lasciarsi abbattere dallo sconforto, che è naturale e umano ma occorre non lasciargli prendere il sopravvento.
Tutti i componenti dell’Officina, ciascuno in base ai propri impegni, stanno esprimendo in prosa o poesia le sensazioni, gli stati d’animo, i dubbi, le paure, le speranze che la situazione attuale inevitabilmente comporta. La magia della condivisione rafforza i nostri cuori; nessuna giornata trascorre senza che un qualche pensiero venga annotato e scritto e commentato sul nostro gruppo, la malinconia che si avverte fra le righe si alterna a volte con l’ironia, arma sempre fondamentale per smorzare le tensioni. Non ci siamo arresi: abbiamo letto, fatto video e già prodotto un materiale di scrittura pronto per una nuova raccolta che testimoni questa dura esperienza. C’è inoltre chi ha dato vita a personali pubblicazioni o raccolte… abbiamo insomma un materiale molto vario e nutrito.
L’Officina sta dimostrando che uniti possiamo affrontare anche questa calamità, conservando equilibrio e consapevolezza circa la nostra fragilità di esseri umani, ma anche valorizzando le potenzialità del nostro vissuto, della storia personale di ognuno di noi, grazie alla quale siamo arrivati fin qui, la forza delle nostre cicatrici che non vanno nascoste ma portate con orgoglio.
Sono certa di interpretare anche il parere della mia collega Rosanna Ianni, dicendo che siamo fiere dell’Officina, di come si è evoluta da quel lontano ottobre 2014, quando l’abbiamo fatta partire con entusiasmo e speranza. Siamo fiere delle persone che la compongono, della loro capacità e del coraggio dimostrato nel “mettersi in gioco”, cosa per nulla facile e scontata.

Applausi all’Officina, dunque, e un augurio di “Avanti tutta!”