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“I racconti di Clara” approdati a Marechiaro

ottobre 15, 2014 Author: Margherita Bertella Category: Senza categoria  0 Comments

Giovedì 9 ottobre 2014, ore 20.30, al ristorante-pizzeria “Marechiaro” della Spezia, prima di gustare delle ottime, fantasiose e succulente pizze vegetariane (una parte del pubblico – diciamolo – era leggermente distratta) ho avuto il piacere di presentare il libro più recente del mio amico Mauro Petracchi: ” I racconti di Clara”.
Continuando sulla scia del testo precedente “Animale a chi?”, Mauro affronta con tono accattivante ma piglio deciso argomenti scomodi, problematiche di cui troppo spesso non vorremmo sentir parlare. Perché è più comodo fingere di non sapere, ripetendoci che non possiamo cambiare il mondo, è sempre andato così… E poi non è il caso di scandalizzarci se si uccidono gli animali… vedi cosa fanno alle persone! Dai tempi delle caverne l’uomo si è cibato delle loro carni e vestito con le loro pelli, no?
“Il nostro prossimo è tutto ciò che vive”, ha detto Gandhi. E per favore, lasciamo stare i nostri antenati cavernicoli: all’epoca non avevano altri mezzi di sussistenza.

Il libro di Mauro dovrebbe essere letto soprattutto dai giovani, primo perché è scritto in stile scorrevole, corredato dagli splendidi disegni di Miria Brusacà, bello anche nella foto di copertina che raffigura l’armonico pranzo di una comunità multirazziale (e questo dovrebbe servire di esempio, oltre che di monito per noi umani), secondo perché è un buon libro.
Non mi stancherò mai di ripetere che scopo di un “buon libro”, a mio parere, è non tanto quello di darci delle risposte quanto di porci le domande giuste per farci riflettere sulle nostre azioni.

Ma chi è Clara? Ho l’onore di conoscerla personalmente: una maestosa femmina di mastino tibetano, indiscussa matriarca del clan animalesco che popola l’appezzamento di terreno sulla collina di Vezzano ligure dove sorge la casa di Mauro e Patrizia. In questi racconti è Clara stessa che ci presenta, come in un film, le avventure dei suoi amici di sempre (ancora viventi o meno): le prime due arrivate, Griss e Kira, il dobermann Edo, i maremmani Bianco e Frida, l’asinella Ciri, l’alpaca Romeo, le caprette Qui Quo Qua, oltre a pennuti (galli, gallinelle, oche) e ancora tartarughe, pesciolini nello stagno ecc…. Animali tutti che Mauro ha strappato a un destino di prigionia o morte.

Ho amato questo libro fin dalla lettura delle bozze (anzi, nonostante la mia attenzione quasi maniacale è probabile che qualcosa mi sia sfuggito, approfitto per scusarmi), apprezzo l’ironia sottile che serpeggia qui e là, forse retaggio dell’origine toscana di Mauro, e soprattutto la “zampata ” che gli sfugge ogni tanto, la fermezza, la veemenza della sua penna, il coraggio con cui affronta certi argomenti, trovando (come dice nel racconto iniziale: “Il coraggio del colibrì”) <<l’energia per provarci, anche quando tutto sembrerebbe inutile e vano>>. Nel raccontare le sue storie, com’è naturale che sia, Mauro spazia tra fantasia e realtà, e nella sezione finale “L’onor del vero” ce ne rende partecipi.

Anche i capitoli più divertenti, come “La bella Galgos”, in cui si narrano le disavventure amorose di Edo, servono a farci riflettere, nello specifico sulla condizione dei levrieri spagnoli sfruttati per la corsa o la caccia e destinati, quando non servono più, a fine ingloriosa. “La giusta causa del cobra” affronta il tema dei combattimenti clandestini fra cani e mi ha richiamato alla mente le immortali pagine di J.London sul grande Nord. Con “Una pasta d’uomo” entriamo nella cruda realtà di una mattanza di suini, e che dire delle pagine in cui ci viene presentato il dramma degli “Orsi della luna” o le condizioni pietose in cui sono tenuti gli animali negli allevamenti intensivi?

Un libro da leggere, che molti mi hanno già riferito di avere letto tutto di un fiato, ma su cui vi invito a ritornare, ogni tanto… Per non dimenticare, perché i libri non sono fatti per essere tenuti intonsi e in bella vista sugli scaffali, dandogli una spolveratina ogni tanto, così… per non alimentare gli acari, hai visto mai… No, i libri sono fatti per essere sfogliati e risfogliati, portati in giro, presentati agli amici e ai nemici (forse più a questi ultimi), i libri vanno prestati (a chi li tiene con amore e non fa mostruose orecchie sulle pagine), i libri (quelli “buoni” – ripeto) vanno “vissuti” e lasciati parlare.

Vivetelo, dunque, questo libro e… fatene tesoro!Clara e Frida

A proposito di Piero, il mio Amleto moderno

ottobre 04, 2014 Author: Margherita Bertella Category: Senza categoria  2 Comments

pres. A rischio di vita

La Spezia, 4 ottobre 2014, è trascorso un anno dalla sera in cui, al Centro Multimediale Dialma Ruggiero, ho presentato il mio romanzo “A rischio di vita”.In sala, tra un pubblico di amici, allora c’era anche mamma, fiera e felice dell’uscita di questa “creatura” che lei per prima aveva visto nascere, crescere e maturare. Adesso che non è più presente (solo dal punto di vista fisico), a lei voglio dedicare questo articolo, come già le avevo dedicato il suddetto libro.

Penso che nessuno osi mettere in dubbio la classicità dell’Amleto shakespeariano. Classici sono i testi che non tramontano mai e che, pure a distanza di secoli, risultano attuali, anzi contemporanei. E ispirano generazioni successive di artisti… a non finire.

Piero Corradi è un adolescente tormentato e sensibile, che deve confrontarsi con la realtà di una famiglia smembrata: la madre ha tradito il padre del ragazzo andando a convivere col cognato. La trama dell’Amleto c’è tutta, se qualcuno conosce bene l’opera, ritroverà nel mio romanzo molte scene tratte da essa. Questo tuttavia non significa che il libro sia una “copia soft”, ovvero annacquata dell’Amleto, come è stato detto in una recensione online. Il concetto di “copia” è completamente estraneo al mio stato mentale.
Essendo il dramma di Shakespeare una delle indagini più approfondite mai condotte sulla varietà infinita dell’animo umano, è logico che esistano su di esso innumerevoli e sempre nuove interpretazioni. Quanto al termine “soft” il mio libro è tutt’altro.
Posso dire di averlo scritto con la testa ed il cuore, con le lacrime e il sangue. Piero è nato anni fa, al laboratorio di scrittura di cui ho già parlato nell’articolo precedente. Mi è uscito fuori dalla penna quello che in seguito è divenuto il primo capitolo. Le prime scene, per così dire. Perché per me di questo si tratta: scrivere è “mettere in scena”, è “rappresentare”, rendere le descrizioni in modo plastico, sensuale, i personaggi vivi, quasi tangibili.

In prima pagina, dunque, abbiamo Piero che sogna (ma solo dopo si capirà che di sogno si tratta) il padre assente. Non perché morto, ucciso come nel dramma di Shakespeare, ma perché abbandonato, tradito, esiliato. Giancarlo, artista eclettico e fuori dalle righe, è “ombra”, non si vede in tutto il romanzo, dopo il tradimento della moglie è fuggito all’estero (cosa che Piero non gli perdonerà mai), appare solo nei pensieri del figlio, ne udiamo le parole attraverso una lettera inviata al ragazzo.
Nel primo capitolo sono in scena i personaggi chiave della storia: abbiamo il figlio, il padre, e subito dopo troviamo lo zio con la madre. Dopo il sogno, o meglio l’incubo che ha per protagonista il padre, Piero torna dal collegio di preti in cui è stato confinato a studiare dal perfido zio Luigi, torna – dicevo – alla villa di questo, per trascorrervi le vacanze di Natale.
Nell’arco di due settimane Piero si troverà a combattere con le proprie paure, le incertezze, la rabbia, il dolore, la disistima. Sì, perché lui soffre di una devastante disistima, una lebbra che potrebbe portarlo all’autodistruzione se… se non arrivasse nella sua vita all’improvviso, non richiesta e magica…Caterina. Un’Ofelia che mi è piaciuto rivoluzionare.

Nella tragedia Ofelia vive in funzione degli uomini che la circondano: è figlia e sorella, non ha una propria personalità, sottomessa al volere del padre, subisce e tace, rifiutata da Amleto, trova il proprio riscatto nella pazzia e nella morte. Incruenta ed evanescente come lei. Avete presenti le rappresentazioni artistiche della morte di Ofelia? La vediamo con le vesti colme di fiori, che si gonfiano nell’acqua del ruscello dove è scivolata, cantando. E i lunghi capelli fluttuanti nella corrente? Morte dolce e indolore, un ritorno a casa: nata dall’acqua, ad essa tornata.
Ebbene, per la mia Caterina volevo una sorte diversa. Anche lei ha un padre sui generis, è vero, anche lei è tenera e dolce, ma nello stesso tempo possiede una forza che a Piero manca, un coraggio e un intuito tipicamente femminili. Anche lei verrà rifiutata, ma al contrario di Ofelia non subirà, arrendendosi alla follia autodistruttiva di Piero, al quale anzi, impartirà una intensa lezione di vita.
Sue sono le parole del titolo: “A rischio di vita”. Sarà Caterina a fargli capire che tutti noi siamo a rischio di vita, che dobbiamo osare andare avanti, accettare la sfida impostaci al momento della nascita. Imparare ad amarci e credere in noi stessi, nella nostra capacità di non ripetere gli errori genitoriali.
La malattia di Piero in ciò consiste: lui non ha paura di morire, ha paura di vivere.

Come sono nate le mie “Bambine”

settembre 25, 2014 Author: Margherita Bertella Category: Senza categoria  6 Comments

Scansione-5“Bambine” è una raccolta di racconti duri, scritti con stile leggero (penso sia dovere di chi scrive nei confronti di chi legge non aggiungere alla crudezza degli argomenti un tono pesante). Il tema è quello dell’infanzia violata, le trame sono purtroppo tutte assolutamente verosimili: mi è bastato pescare nella realtà quotidiana.

In verità, quando ho iniziato a scriverli, non avevo un progetto in mente: succede sempre così, vi parrà strano ma è la penna stessa a portarmi nei territori da esplorare. Li ho riuniti solo alla fine, quando ho capito che formavano un insieme coerente. Mentre li componevo, ero talmente presa dalle storie che le seguivo e basta.
Come dico nella nota introduttiva al libro, sono i personaggi a “sussurrarmi” le loro storie. Queste bambine, in particolare, sono state molto insistenti, le loro voci hanno risuonato a lungo nelle mia psiche prima che mi decidessi ad accoglierle sul foglio… Ho capito che volevano essere ascoltate. I bambini vogliono e devono essere ascoltati.

La prima a nascere, la maggiore – se così vogliamo definirla – è la Magda de “Il cagnaccio”. Risale ai tempi in cui frequentavo un laboratorio di scrittura nella mia città, ricordo di averla letta ad alcune delle compagne di corso. Si tratta della rivisitazione in chiave moderna della fiaba di “Cappuccetto rosso”. Fortunatamente la mia Magda non viene “divorata”, ma corre comunque un brutto rischio da cui la salva una specie di intuito, un’illuminazione istintiva.

Il nucleo del racconto “Il professore” è autobiografico, ne ho fatto personale esperienza nel periodo in cui, terminate le scuole medie, stavo per iniziare il ginnasio (liceo classico). Il professore è affascinante, pulito, profumato, ben vestito, gran parlatore…
Il “lupo” moderno, l”orco” non fa più paura, non è affatto rozzo, selvatico, bestiale, come nelle fiabe classiche, nossignori! Gentile, profumato, accattivante, si cela dietro le spoglie di seri, rispettabili professionisti, assume il volto di stimati professori, maestri, avvocati, ingegneri, oppure semplici lavoratori con tanto di famiglia e figli,  veste con disinvoltura anche l’abito sacerdotale…. ecc.
Il cacciatore, colui che nella fiaba interpreta il ruolo del maschile positivo e salvifico, nelle mie storie in realtà è scomparso, in quanto le bimbe intuiscono da sole il pericolo e si salvano prima che sia troppo tardi, o comunque esse ricevono sostegno da persone “inaspettate”: gli umili, i disadattati, quelli che la società isola e disprezza, ad esempio un barbone (appunto ne “Il professore”), un extracomunitario (ne “Il cagnaccio”), lo scemo del paese, il “toccato” (in “Cugine”).

Nel comporre “Cugine” appunto, mi sono ispirata alle figure di mia madre e mia zia, avendo ascoltato spesso i racconti che mamma mi faceva sulla loro infanzia. Mia zia, che nella storia assume il volto di Valentina, la cugina più grande di età, in realtà era più giovane della sorella di due anni, ed era la ribelle, quella che ne combinava di tutti i colori, spesso riuscendo a scaricare la colpa delle sue mascalzonate su mia madre, la Michela seria e giudiziosa della coppia.

Il terzo racconto “Villa Alba numero 13” è partito da un glicine. Ho sempre amato la pianta di glicine, non solo per la fioritura delicata, dall’intenso profumo, ma anche per il suo fusto nodoso, spesso aggrovigliato, robusto, resistente … Vicino a casa mia una di queste piante corre lungo il perimetro di un muretto che cinge il cortile di una scuola materna e i suoi grappoli profumati ricadono sulla stradina esterna all’istituto, che sono solita percorrere.
Il glicine, dunque, era l’incipit, in seguito si è sviluppata una storia che anch’essa mi risuonava dentro da un po’: l’annegamento di un bimbo. La morte improvvisa di una creatura innocente… quante volte ne ha dato notizia il telegiornale: un bimbo caduto in piscina … Cosa c’è dietro? Il caso, il destino, l’incuria dei genitori… lo sfinimento di una madre distratta…

La nascita di “Tatanna” è merito di un pasticciere. Proprio così: nella mia zona c’è un panificio pasticceria che, durante le feste natalizie, espone dietro le vetrine del bancone o in alto, su apposite mensole, piccole case di cioccolato. Opere d’arte complete di tutto: porte, finestre, cancelletto, giardino con staccionata, aiuole, tetto con comignolo innevati… Corredati da omini o donnine sull’uscio… una meraviglia! Un incanto per grandi e piccini.
Poi c’entra Povia, il cantante… ricordate? Lui, in genere, non mi entusiasma, ma nel periodo in cui ho scritto la storia, mi frullava in testa quel tormentone di Sanremo: “Quando i bambini fanno oh! Che meraviglia…” Ed ecco qua: ho unito la casina di cioccolato a Povia. (Leggete e capirete). Poi è entrata in scena la baby-sitter. Per il nome: Tatanna (così la chiama Vanessa, la bambina, unendo i termini “tata” e Anna) l’ho preso da una fiction mediaset dove Simona Ferilli interpretava il ruolo di una tata alle prese con tanti bambini. Ma unicamente il nome. Sì, perché la mia tata è angelica solo di aspetto… Attenti alle apparenze, il culto dell’immagine tipico della nostra epoca, spesso ci rende ciechi!

Per “Michelino è un orso dispettoso” c’è stata, appunto, la collaborazione di Michelino, l’orsetto di peluche della mia infanzia, quello che mi portavo sempre appresso… Accanto a questo dolce ricordo, c’è da dire che mi girava e rigirava in mente la vicenda delle gemelline svizzere, ricordate? Quel padre che le ha rapite alla mamma per vendicarsi di un abbandono e le ha fatte sparire… suicidandosi sotto un treno. Una storia tremenda, una delle tante, una di quelle a cui non dobbiamo abituarci, di fronte alle quali abbiamo il dovere di continuare ad indignarci e pregare che possa giungere un tempo in cui l’umanità riesca a recuperare l’anima che pare abbia smarrito per strada.
E poi avevo nelle orecchie il sussurro che la bimba protagonista (in realtà sono due sorelle gemelle, Laura e Lisa) sente ogni tanto, nel chiuso della sua cameretta, e non osa riferire alla madre. Così mi è venuta fuori dalla penna la figura di un papà pedofilo, certamente malato, certamente sofferente, e di una moglie che, come spesso accade, sa ma preferisce fingere di non sapere, diventando consenziente.

L’ultimo racconto: “Natale con papà” ha per tema una famiglia con genitori separati e tutte le conseguenze del caso.
La madre è la professionista affermata e razionale, il padre l’artista, il creativo fuori dalle righe… in mezzo c’è Maddy, una bambina che quasi non conosce suo padre, andato via quando lei era piccolissima, un papà che le vuole bene e desidera recuperare il tempo perduto e dal quale, nonostante gli ammonimenti materni, lei si sente naturalmente attratta…

Eccole qua “le mie, le nostre bambine, che ogni giorno percorrono le vie di questo mondo sconvolto” (come dico nella nota iniziale). Le loro voci piccole ma forti vanno ascoltate.
I segnali che leggiamo negli sguardi dei bimbi, i loro gesti, anche i loro mutismi vanno interpretati. Amiamoli, non lasciamoli soli, diamo loro fiducia, prendiamoli sul serio. Perché spesso i bambini sono molto più seri di noi.

Metti una sera di settembre, al bar

settembre 21, 2014 Author: Margherita Bertella Category: Senza categoria  2 Comments

La Spezia, 19 settembre 2014, ore 18.00, bar caffetteria “Al volo”, in piazza Verdi, una serata di pioggia, ma dentro il piccolo locale – che spesso ospita quadri in esposizione – regnava una calda atmosfera e il pubblico, non numeroso ma attento, si è riempito gli occhi coi colori dei quadri di Aurora Natale e Anna Maria Giarrizzo, note pittrici spezzine dal tocco originale, oltre che persone deliziose, ascoltando dalle voci dei poeti Enzo Gaia e la sottoscritta le loro liriche – oltre a quelle della poetessa Pina Violet che, non essendo spezzina e per motivi personali, non ha potuto essere presente – liriche, dicevo, abbinate ad alcuni dei quadri esposti.

Il poeta spezzino Enzo Gaia, organizzatore della serata, ha intitolato l’evento “Quadri da un’esposizione”, in onore del musicista russo Musorgskij, che per primo diede questo titolo a un sua composizione: 15 brani, di cui 10 ispirati ai quadri di una mostra all”Accademia Russa di Belle Arti che ebbe luogo a San Pietroburgo e 5 Promenade che rappresentano  il filo conduttore da una tela all’altra.

Quando Enzo, una settimana fa, ha chiesto la mia collaborazione, ho accettato con slancio, salvo poi chiedermi se sarei riuscita nell’intento. Dubbi svaniti in fretta, perché la mattina successiva una della poesie mi risuonava già in mente, le altre tre le ho composte sulla spiaggia  (era domenica, ho preso il treno delle 7.12 per Monterosso, una delle Cinque Terre, ultimi sprazzi di sole di un’estate che non è arrivata).  Addossata a uno scoglio, foulard al collo (soffiava un’arietta frizzante), respirando il mare, la penna a graffiare la carta… Ed eccole lì, tutte e quattro davanti ai miei occhi. A casa non le nemmeno ritoccate.

Il più bel commento sono state le parole della pittrice Anna Maria Giarrizzo a cui le ho donate al termine della serata, sentire da lei che si abbinavano perfettamente ai suoi quadri. Non è facile, se ci pensiamo, riuscire in una simile operazione, perché si tratta di affiancare personalità diverse, ognuna con un proprio vissuto, una propria visione del mondo… Il fatto che in questo incontro siamo andate all’unisono è uno dei miracoli dell’arte.

Davvero è stata una serata magica, sarà perché condividere una passione è una esperienza entusiasmante, che fa tanto bene all’anima. Ringrazio ancora Enzo di avermi coinvolta nell’evento. Grazie al cielo, accanto a chi ritiene la poesia anacronistica nella nostra epoca, superata e noiosa, esistono ancora persone in grado di emozionarsi ascoltando dei versi, ammirando un dipinto, gustando un brano musicale. Non perdiamo, dunque, la capacità di emozionarci ed emozionare. Ben vengano gli artisti, con la loro contagiosa e benefica “follia”

Monterosso al mare

settembre 18, 2014 Author: Margherita Bertella Category: Senza categoria  2 Comments

 

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Questo mio piccolo acquerello ritrae Torre Aurora, a Monterosso (antica torre di guardia saracena, ora adibita ad abitazione privata). Quante volte, negli anni passati, ho percorso il cosiddetto “sentiero delle agavi” che conduce su, al convento dei frati cappuccini… Purtroppo due anni fa l’orto di fra’ Renato, con la splendida vigna, è franato – causa una bomba d’acqua – nella strada sottostante. Ancora oggi il sentiero è chiuso perché pericolante. Si può raggiungere comunque – dalla scalinata panoramica che s’imbocca uscendo dal paese invece di percorrere il tunnel – la piazzola dove si erge la statua di S.Francesco col lupo, da cui si gode una vista mozzafiato: le altre quattro terre sulla sinistra e punta Mesco sulla destra, intorno l’immensità del mare… Per me questo è un “paesaggio d’anima”. Gli ho dedicato la poesia che segue

MONTEROSSO AL MARE

Sono tornata a respirare
briciole di paradiso
gli occhi affogati
nell’infinito azzurro

sosta con me la lucertola
al tepore del muretto
muto scambio di sguardi

cauta estraggo la penna
a incidere sul taccuino dell’anima
appunti d’emozione

visitano il cespo di capperi stamani
minuscole farfalle bianche

purpurea s’accende sul colle di fronte
la macchia della bougainvillea

ed ecco scendere giù dal convento
i rintocchi dell’ora…

Più non m’inquietano
impalcature e sbarramenti sul sentiero
segni dell’aerea rovina

dalla terrazza panoramica
ancora il Francesco di bronzo
mostra al lupo la meraviglia
che si squaderna allo sguardo

tornerà a germogliare la vite
nell’orto del frate
franato sotto un diluvio notturno

a breve si schiuderà l’infiorescenza dell’agave
lungo la scarpata