Giovedì 9 ottobre 2014, ore 20.30, al ristorante-pizzeria “Marechiaro” della Spezia, prima di gustare delle ottime, fantasiose e succulente pizze vegetariane (una parte del pubblico – diciamolo – era leggermente distratta) ho avuto il piacere di presentare il libro più recente del mio amico Mauro Petracchi: ” I racconti di Clara”.
Continuando sulla scia del testo precedente “Animale a chi?”, Mauro affronta con tono accattivante ma piglio deciso argomenti scomodi, problematiche di cui troppo spesso non vorremmo sentir parlare. Perché è più comodo fingere di non sapere, ripetendoci che non possiamo cambiare il mondo, è sempre andato così… E poi non è il caso di scandalizzarci se si uccidono gli animali… vedi cosa fanno alle persone! Dai tempi delle caverne l’uomo si è cibato delle loro carni e vestito con le loro pelli, no?
“Il nostro prossimo è tutto ciò che vive”, ha detto Gandhi. E per favore, lasciamo stare i nostri antenati cavernicoli: all’epoca non avevano altri mezzi di sussistenza.
Il libro di Mauro dovrebbe essere letto soprattutto dai giovani, primo perché è scritto in stile scorrevole, corredato dagli splendidi disegni di Miria Brusacà, bello anche nella foto di copertina che raffigura l’armonico pranzo di una comunità multirazziale (e questo dovrebbe servire di esempio, oltre che di monito per noi umani), secondo perché è un buon libro.
Non mi stancherò mai di ripetere che scopo di un “buon libro”, a mio parere, è non tanto quello di darci delle risposte quanto di porci le domande giuste per farci riflettere sulle nostre azioni.
Ma chi è Clara? Ho l’onore di conoscerla personalmente: una maestosa femmina di mastino tibetano, indiscussa matriarca del clan animalesco che popola l’appezzamento di terreno sulla collina di Vezzano ligure dove sorge la casa di Mauro e Patrizia. In questi racconti è Clara stessa che ci presenta, come in un film, le avventure dei suoi amici di sempre (ancora viventi o meno): le prime due arrivate, Griss e Kira, il dobermann Edo, i maremmani Bianco e Frida, l’asinella Ciri, l’alpaca Romeo, le caprette Qui Quo Qua, oltre a pennuti (galli, gallinelle, oche) e ancora tartarughe, pesciolini nello stagno ecc…. Animali tutti che Mauro ha strappato a un destino di prigionia o morte.
Ho amato questo libro fin dalla lettura delle bozze (anzi, nonostante la mia attenzione quasi maniacale è probabile che qualcosa mi sia sfuggito, approfitto per scusarmi), apprezzo l’ironia sottile che serpeggia qui e là, forse retaggio dell’origine toscana di Mauro, e soprattutto la “zampata ” che gli sfugge ogni tanto, la fermezza, la veemenza della sua penna, il coraggio con cui affronta certi argomenti, trovando (come dice nel racconto iniziale: “Il coraggio del colibrì”) <<l’energia per provarci, anche quando tutto sembrerebbe inutile e vano>>. Nel raccontare le sue storie, com’è naturale che sia, Mauro spazia tra fantasia e realtà, e nella sezione finale “L’onor del vero” ce ne rende partecipi.
Anche i capitoli più divertenti, come “La bella Galgos”, in cui si narrano le disavventure amorose di Edo, servono a farci riflettere, nello specifico sulla condizione dei levrieri spagnoli sfruttati per la corsa o la caccia e destinati, quando non servono più, a fine ingloriosa. “La giusta causa del cobra” affronta il tema dei combattimenti clandestini fra cani e mi ha richiamato alla mente le immortali pagine di J.London sul grande Nord. Con “Una pasta d’uomo” entriamo nella cruda realtà di una mattanza di suini, e che dire delle pagine in cui ci viene presentato il dramma degli “Orsi della luna” o le condizioni pietose in cui sono tenuti gli animali negli allevamenti intensivi?
Un libro da leggere, che molti mi hanno già riferito di avere letto tutto di un fiato, ma su cui vi invito a ritornare, ogni tanto… Per non dimenticare, perché i libri non sono fatti per essere tenuti intonsi e in bella vista sugli scaffali, dandogli una spolveratina ogni tanto, così… per non alimentare gli acari, hai visto mai… No, i libri sono fatti per essere sfogliati e risfogliati, portati in giro, presentati agli amici e ai nemici (forse più a questi ultimi), i libri vanno prestati (a chi li tiene con amore e non fa mostruose orecchie sulle pagine), i libri (quelli “buoni” – ripeto) vanno “vissuti” e lasciati parlare.