“Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti, tutto a seni e a golfi, a seconda dello sporgere e del rientrare di quelli…” Chi non conosce l’incipit manzoniano? Si tratta di un inizio arioso, maestoso, l’autore fa un’ampia panoramica dei luoghi in cui si svolgeranno le vicende narrate, restringendo a poco a poco il campo visivo e ponendo l’attenzione sulle “strade e stradette, più o men ripide, o piane” che correvano “dall’una all’altra di quelle terre, dall’alture alla riva, da un poggio all’altro”, per finire, con uno zoom da maestro, sulla figura di Don Abbondio che “Per una di queste stradicciole, tornava bel bello dalla passeggiata verso casa, sulla sera del giorno 7 novembre dell’anno 1628…” Ignaro, povero curato, dell’imminente incontro con i “bravi”, fonte per lui di somma disgrazia…
Inizio spettacolare, scenografico direi. Da narratore onnisciente, demiurgo che dirige dall’alto le sue “pedine”, ovvero i personaggi, ne sa più di tutti loro, legge nel loro animo, ne conosce le vicende passate e future, può muoversi liberamente nel tempo e nello spazio, tornando indietro con frequenti “analessi” o “flashback” o anticipando gli avvenimenti con le “prolessi”.
Esistono, però, altri tipi di incipit. Sappiamo, ad esempio, che nel racconto poliziesco, la cronologia degli eventi è rivoluzionata e l’autore inizia dal finale (in genere un omicidio o una serie di questi), per poi ricostruire l’antefatto e ciò che c’è nel mezzo…
Prendiamo uno splendido racconto di Tolstoj: “La morte di Ivan Il’ic”. L’autore rivoluziona la cosiddetta “fabula”, ovvero la successione logica e temporale lineare delle vicende, mettendo all’inizio l’ultima scena: la morte del protagonista.
Il primo capitolo si apre sul palazzo di giustizia, dove il giudice Petr Ivanovic annuncia: “Signori! Ivan Il’ic è morto”. Poi l’autore ci presenta l’ambiente ipocrita in cui il morto ha trascorso gran parte dell’esistenza, con queste parole:. “…il primo pensiero di ognuno di quei signori riuniti nell’ufficio, si volse al significato che quella morte avrebbe potuto assumere riguardo a trasferimenti o promozioni degli stessi membri o di loro conoscenti” Quindi ci introduce nella casa del defunto, col solito contorno di cordoglio, pianti, finta desolazione… Dal secondo capitolo avrà inizio l’analessi, con la storia – ormai passata – della misera esistenza di quest’uomo.
Esiste anche l’inizio “in medias res”, ovvero, per dirla alla latina, nel bel mezzo dei fatti, in cui l’autore provvede successivamente a far narrare, magari a un personaggio, gli eventi accaduti in precedenza. Prendiamo ad esempio l’Odissea, o l’Eneide, in cui Ulisse ed Enea raccontano rispettivamente al re Alcinoo e alle regina Didone le avventure che li hanno condotti fin lì.
Esistono incipit che in una frase folgorante racchiudono già il succo della storia. Voglio citare l’inizio di “Anna Karénina”, dove Tolstoj afferma: “Tutte le famiglie felici si somigliano; ogni famiglia infelice è invece disgraziata a modo suo”. Non c’è bisogno di alcun commento.
Esistono incipit originali, ironici, unici. Penso a “Se una notte d’inverno un viaggiatore” che fa così:
“Stai per iniziare a leggere il nuovo romanzo <<Se una notte d’inverno un viaggiatore>> di Italo Calvino. Rilassati. Raccogliti. Allontana da te ogni altro pensiero. Lascia che il mondo che ti circonda sfumi nell’indistinto. La porta è meglio chiuderla; di là c’è sempre la televisione accesa. Dillo subito, agli altri: <<No, non voglio vedere la televisione!>> Alza la voce, se no non ti sentono:<<Sto leggendo! Non voglio essere disturbato!>>. Forse non ti hanno sentito, con tutto quel chiasso; dillo più forte, grida: <<Sto cominciando a leggere il nuovo romanzo di Italo Calvino!>> O se non vuoi non dirlo; speriamo che ti lascino in pace.”
Innumerevoli sono le possibilità creative. Chi ha detto che non si possa iniziare un romanzo o un racconto o anche una poesia con una “e”? Perché comunque, tutto inizia nella nostra testa: c’è un’idea che prima appare sfocata, o magari è come un lampo, una folgorazione, ma in seguito dev’essere ricostruita sulla carta, attraverso un attento lavoro di officina, dopo un certo periodo di “fermentazione”, perché quando si comincia a scrivere (almeno per me è così) avviene una specie di “parto” liberatorio che ha richiesto un periodo più o meno lungo e doloroso di incubazione… Perciò quell'”e” è pienamente giustificato. Dietro c’è tutta una storia…
Mi piace citare come esempio un racconto di Katherine Mansfield, la scrittrice neozelandese che amo particolarmente.
Si tratta di “Garden-party” che inizia così: “E poi il tempo era ideale. Non avrebbero potuto trovare una giornata più perfetta per un garden-party nemmeno se l’avessero ordinata”. L’inizio di un racconto straordinario per finezza di descrizioni e acutezza psicologica.
Per quanto riguarda la poesia, mi basta ricordare “Il gelsomino notturno” pascoliano, che inizia così:
“E s’aprono i fiori notturni,
nell’ora che penso a’ miei cari.
Sono apparse in mezzo ai viburni
le farfalle crepuscolari.”
Insomma, io credo che non ci siano regole prestabilite per cominciare a scrivere, a parte cercare di catturare il lettore fin dall’inizio, facendo in modo che venga preso dal desiderio di proseguire… Emozionarlo, coinvolgerlo, tenerlo avvinto… Non essere banali, scontati, non essere finti, non sottovalutare l’intelligenza altrui! Buon lavoro, dunque!