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Donne tutto l’anno

marzo 07, 2015 Author: Margherita Bertella Category: Senza categoria  0 Comments

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Donne tutto l’anno, non solo l’8 marzo

Donne, du du du… donne che non ce la fanno più
donne represse, confuse, imbavagliate, donne smorzate
donne aride, affaticate, impaurite, donne inacidite
donne smarrite, donne ferite, donne calpestate, donne cancellate
donne umiliate, torturate, donne sfruttate
donne intossicate, donne sfrontate
donne, che svergognate!
Donne ingabbiate, donne che non ti devono lasciare, donne di malaffare
donne che fra quattro mura devono restare, donne da fare filare
donne da strigliare, da fargliela vedere, donne da strangolare
donne da cambiare, donne da buttare!
Donne da tradire, da ingannare, da zittire
donne che ti devono accudire, che ti devono blandire
donne che il loro dovere è essere carine,  dolcine, crocerossine
donne da una botta e via, donne da possedere, donne da barattare
donne cadute, donne vendute, donne perdute, donne fottute!

Donne che, nonostante tutto, ci credono ancora, donne senza paura
donne che rialzano la testa, donne che avanzano con la lancia in resta
donne che si vogliono salvare, donne che non si lasciano incantare
donne guerriere, donne da imitare
donne che corrono coi lupi, donne che attraversano boschi cupi
donne che se ne fanno un piffero dei fasci di fiori
delle faccette sul web, dei cuoricini, dei regalini, dei pensierini
dei nomignoli cretini: coniglietta, passerottina, trottolina…
Donne che fanno arte, donne che coltivano le loro passioni
donne che esprimono emozioni
donne che cercano un uomo vero, donne che non le soffochi sotto un velo
donne che si ritagliano un triangolo di cielo
donne che respirano il mare, donne che sanno stare sole
donne che reinventano l’amore.

Donne che si sono rotte di brutto
donne che ribaltano tutto
donne che meritano rispetto
donne, non merce da letto!

 

Margherita 2015

 

Colori

marzo 02, 2015 Author: Margherita Bertella Category: Senza categoria  4 Comments

 

tavolozza-emozioni

Mi sento molto simile alla “Margherita” di Riccardo Cocciante: come lei amo i colori… Vorrei dipingere tutti i muri, “case, vicoli e palazzi” con l’intera gamma della tavolozza. Quando ho scritto questa poesia era ancora in vita il mio micione Ron, un incrocio di persiano bicolore (rosso-bianco), dagli occhi arancio e il nasino metà fulvo metà bianco. Alcuni versi sono dedicati a lui e poi c’è rispecchiato qui tutto il mio amore per la natura, questa meraviglia che ci attornia e dovremmo salvaguardare!

COLORI

Rosso tramonto di fuoco
ardente fiamma incalzante
d’una serata danzante
potente, rossa passione
sotto un gran cielo arancione.
Pelo fiammante d’un gatto
quatto mi viene vicino
gran tomo d’un malandrino!
Carezzo il morbido vello
candido, lindo nel petto
rosso sul dorso, il furetto
naso color albicocca
bianco nell’altra metà
balza con gran levità.
Verde speranza soave
verdi colline infinite
buone per farvi le gite
sì, zaino in spalla e poi via
coraggio, muoviti, zia!
Tutti a mangiare sui prati
di fiori appena sbocciati.
Verde smeraldo d’un lago
occhio di cielo, cristallo
che salti fa quel cavallo!
Un branco è lì a pascolare…
Cobalto l’acqua del mare
dipinti, azzurre marine
dolci, celesti fatine.
Bianco vestito d’estate
lunghe, festose serate
passate a contare le stelle
sono lontane sorelle.
Bianco d’un foglio di carta
matita che scivola via
traccia di nero una scia.
Neri capelli ricciuti
boccoli lunghi, fronzuti
nero carbone di occhi
sì, griderò se mi tocchi!
Scorza rugosa d’arancio
disco solare cerchiato
raggi che sembrano spilli
oh, grande sole, sfavilli!
Viola, colore dei morti
gentile, dolce profumo
della violetta di Parma
viola di certi tramonti
e di sfumati orizzonti.
Marrone la madre terra
che tutti i semi rinserra
marrone saio d’un frate
quante giornate pregate!
Marrone tronco d’un pino
stende l’ombrello su rocce
dal mare salgono gocce
marrone croce di Cristo
morto e risorto l’han visto.
Giallo dei fior di mimosa
nuvola di primavera
giallo di cielo, stasera.
Giallo degli occhi d’un gatto
schegge di sabbia dorata
in una notte fatata.
Che giallo mare di messi!
Bionda fragranza del pane
su, forza, che abbiamo fame!

Amata lettura

febbraio 21, 2015 Author: Margherita Bertella Category: Senza categoria  0 Comments

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Dice Daniel Pennac in “Come un romanzo” (Feltrinelli 2002): “Quel professore non inculcava un sapere, regalava quel che sapeva. Non era tanto un professore, quanto un maestro trobadorico – uno di quei giullari delle parole che popolavano le locande del cammino di Compostela recitando le canzoni di gesta ai pellegrini illetterati… La cosa più importante era che ci leggesse tutto ad alta voce! La fiducia che riponeva di primo acchito nel nostro desiderio di capire… L’uomo che legge ad alta voce ci eleva all’altezza del libro. Dà veramente da leggere!”

Concordo che la lettura ad alta voce abbia qualcosa di magico, trascinante… Risento vivissima la voce della mia maestra delle elementari (a cui ho dedicato un racconto): il sabato ci leggeva sempre brani da vari libri. Mi si è stampata nella mente e nel cuore la mattina in cui iniziò “La capanna dello zio Tom”. La sua voce leggermente roca si alzava di tono, emozionandosi ed emozionando nei punti salienti della narrazione. Mi sfilavano davanti agli occhi delle immagini, esattamente come in un film: vedevo la giovane negra Elisa insieme al piccolo figlio fuggire dal suo aguzzino, saltando coi piedi insanguinati sui lastroni ghiacciati del fiume Ohio, sorretta dalla forza eroica dell’amore…
Insostituibile è la voce dei genitori che leggono una fiaba al bimbo, la sera, nell’atmosfera ovattata della stanzetta di lui… Altro che parcheggiarli davanti a un cartone! Si può stare certi che il bambino conserverà dentro sé l’incanto di quei momenti e magari lo rispolvererà un giorno coi propri figli…
Inoltre, la lettura ad alta voce di un testo scritto da noi può aiutarci a smussarne le impurità, a eliminare le ripetizioni, ad accorgerci se il ritmo fila via liscio oppure no, se dobbiamo operare dei tagli, ecc.

A parere mio – e non solo – non si può scrivere senza avere letto.
Le mie prime letture? Emilio Salgari, innanzitutto: amavo l’avventura! Mi affascinavano le descrizioni di quel mondo lussureggiante, lontano, popolato da creature dal nome misterioso… ricordo un animale di cui si parlava spesso dentro quelle pagine: il “babirussa”! Non mi chiedevo cosa fosse, che aspetto avesse, capivo dalle descrizioni che in realtà era una specie di maiale selvatico, mi incantava soprattutto il nome… il suono di quelle quattro sillabe. Tra i personaggi il mio preferito è sempre stato non quel macho di Sandokan, ma l’ironico portoghese Yanez, con l’eterno sigaro tra le labbra, la sua arguzia e simpatia… Tra i libri più amati: “Ivanhoe”, “L’isola del tesoro”, “I tre moschettieri”, “Robin Hood”… Adoravo poi i romanzi di London, primo fra tutti “Zanna bianca”, specie le pagine iniziali con la descrizione in cui il cucciolo si affaccia per la prima volta dalla tana alla scoperta del mondo…
Tra i regali delle mia Prima Comunione, uno dei libri più graditi fu “Piccole donne” di L.M. Alcott: per una bimba schiva e solitaria come me, le quattro sorelle March rappresentavano delle amiche deliziose, specialmente Jo, la maschiaccia del gruppo (non a caso la scrittrice)… Mi comprarono in seguito gli altri volumi: “Piccole donne crescono”; “Piccoli uomini”; “I ragazzi di Jo”; ecc.) ma nessuno reggeva il confronto col primo. Poi ho amato “Pollyanna” di Eleanor Porter, la piccola orfana che viene a vivere da una zia inizialmente rigida e amareggiata e rivoluziona tutta la sua vita. Pollyanna, col suo “gioco della felicità” insegnatole dal padre (gioco educativo non solo per i bambini).

Merito del mio professore del liceo fu di averci aperto l’orizzonte della grande letteratura italiana: conservo come un tesoro i cofanetti delle opere di G: Verga (contenenti  “I Malavoglia” e “Mastro don Gesualdo”, ma anche tutte le novelle), quello coi racconti di C. Pavese, di cui lessi in seguito “La luna e i falò”, “Paesi tuoi”,”Prima che il gallo canti”, “La bella estate”… e inoltre conobbi all’epoca C. Cassola con “La ragazza di Bube”, Ignazio Silone con “Vino e pane” e “Il segreto di Luca”, D.Buzzati con “Il deserto dei tartari”, V. Pratolini con “Metello”. Fu allora che scoprii (innamorandomene perdutamente) Pirandello, le sue incomparabili novelle e testi irripetibili come “Il fu Mattia Pascal”, “Uno, nessuno, centomila”, “Sei personaggi in cerca di autore”… Ma il prof. ci consigliava anche stranieri come Hemingway, di cui lessi “I 99 racconti”, poi “”Addio alle armi”, “Fiesta”, “Verdi colline d’Africa”, “Morte nel pomeriggio”…e Steinbeck coi suoi”Pian della Tortilla”, “La luna è tramontata” nonché gli splendidi racconti de “I pascoli del cielo”. Mentre a un prof. da cui andavo a lezioni private di Latino, devo la conoscenza di W.S.Maugham con “Il velo dipinto” e “Il filo del rasoio” e un racconto meraviglioso di Steinbeck: “La perla” che mi regalò dalla sua biblioteca e ancora possiedo.

In seguito approfondii la conoscenza della grande letteratura russa: Dostoevskij, Tolstoj, Gogol…, francese: Zola, Proust, Flaubert, Maupassant… inglese: Bronte, Woolf, James, ecc.ecc. (per citare solo i classici).

Personalmente ho un rapporto fisico col libro: mi piace toccarlo, sfiorarlo, annusarlo, infilare petali di fiori o foglie essiccate fra le pagine o regalar loro segnalibri dipinti da me all’acquerello, prendere appunti a margine, sottolineare i brani più toccanti, magari una frase o un sostantivo che considero esaltante…

Adoro le biblioteche, la varietà cromatica degli scaffali risultante dall’accostamento delle copertine… Ancora oggi non esiste regalo da me più gradito di un buon libro… amo andarli a scovare sulle bancarelle del Cercantico per strada (dove ho scoperto veri tesori). Conservo con amore tre logori volumi di “Guerra e pace” di Tolstoj, acquistati, insieme ad “Eugenia Grandet” di Balzac, tanti anni fa alla fiera di San Giuseppe, qui alla Spezia.

Sono gelosa dei miei libri, li amo, mi hanno dato e continuano a darmi tanto, a tenermi compagnia, a stimolare la mia curiosità, a pormi le domande giuste… Sono creature che meritano rispetto: li presto solo a veri amanti della lettura, a coloro che non li offendono con mostruose orecchie sulle pagine, ma soprattutto a quelli che non devono essere pregati per restituirli!

La ballata dei tulipani

febbraio 16, 2015 Author: Margherita Bertella Category: Senza categoria  0 Comments

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In origine questo era un brano di prosa ritmata, come mi viene sempre se scrivo veloce, seguendo la mia musica interiore, l’ho composto un’estate di vari anni fa, al Cerreto, durante una passeggiata nel bosco… Ero sola nel silenzio, man mano che mi addentravo l’atmosfera diventava ovattata, magica… Arrivata a una casupola di pietra  (forse antica abitazione, chissà…) mi sono fermata: amo le case abbandonate, hanno una voce nostalgica ma viva… Mi sono seduta sopra un masso, nella pace del luogo. Sul momento non ho pensato d’incontrare mostri o lupi malvagi. Incoscienza? Può darsi, ma sono contenta che abbia prevalso su di me il fascino dell’atmosfera…

Dopo un bel po’ che me ne stavo lì a fantasticare, ho estratto carta e penna ed è venuta fuori una storia che, in un secondo tempo, tornata in città, si è trasformata in poesia. Particolare, lo ammetto, anche inquietante, ma evocativa…

La ballata dei tulipani

C’era un prato di tulipani
erano rossi, erano strani.

Sembravan mani di dannati
sì, mani piene di peccati.
Se volevi coglierne uno
ecco un lungo gemito d’uomo
rosso sangue usciva dal fusto
inquieto lasciavi quel posto.

C’era un prato di tulipani
erano rossi, erano strani.

Fu un giorno di luglio che Alice
per caso scoperse la ripa
la ripa fatata. Incantata
immota rimase a guardare
turbata per ore a pensare.
L’indomani con cavalletto
tela, pennelli e gran diletto
compose un quadro sì, di getto.
Era tornata ancora e ancora
col bianco apparir dell’aurora.
Qualcosa sempre le sfuggiva
insoddisfatta non capiva.
Finché un dì che aveva tardato
le era parso mutato il prato.
Aveva avvertito una voce
un sospiro… tra i lunghi steli
s’erano alzati giovani alti
belli e fieri, giovani veri!
Avevano elmetti dorati
fucili a tracolla, stivali
correvano quasi avessero ali.
Un bruno batteva il tamburo
un rosso suonava la tromba
su tutto tuonava il cannone
piazzato sul monte di fronte:
erano in guerra, erano al fronte!
Caddero tutti uno per uno
colpiti nel petto, alla testa
alla gola, in meno di un’ora.
Rosso lago di sangue a terra
ecco qui la morte di guerra.
Prato rosso, vento di morte
Alice ti ha aperto le porte.
Dipinse i corpi sparsi al suolo
fiori sorti dalle ferite
mentre l’erba copriva l’armi
fucili, alabarde cadute.
Ma una fiamma esplosa dal nulla
colpì in un istante il dipinto:
sembrava di sangue schizzato
il quadro era ormai rovinato.
La tela cadendo sull’erba
bruciò il prato immediatamente
ahimè, sotto un caldo crescente.
La pallida giovane artista
rimase sconvolta a guardare:
non c’era ormai niente da fare.
Eppure qualcosa brillava
ancora laggiù verso il fondo
corse Alice e scorse una tromba…
la prese, soffiò. Un frastuono
di guerra, un boato di morte
un colpo diretto nel petto
la colse, la vita le tolse.

C’era un prato di tulipani
erano rossi, erano strani.

Il personaggio, storia di un’evoluzione

febbraio 01, 2015 Author: Margherita Bertella Category: Senza categoria  0 Comments

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L’argomento sarebbe vastissimo, cercherò perciò di sintetizzare, partendo da un’osservazione: i personaggi delle opere narrative dell’antichità, tipo i poemi omerici, sono statici o monolitici, incarnano determinate caratteristiche eroiche per tutto il corso della loro storia. Ad esempio: Achille impersona la forza, Ulisse l’astuzia, Ettore il valore in battaglia, oltre a ricoprire il ruolo di marito fedele e padre affettuoso…

Anche nella fiaba i personaggi hanno ruoli fissi: protagonista, aiutante, antagonista, fanciulla da salvare, ecc. Compiono azioni che, pur nelle differenze, ricorrono sempre costanti (vedi l’analisi dello studioso russo Propp nella sua “Morfologia della fiaba”)

Ma già nelle novelle del Boccaccio, che rappresentano un mondo vario e ricco, in cui è determinante l’ascesa di una società mercantile attiva e in via di emancipazione, i personaggi dimostrano di adattarsi alle circostanze mutevoli della quotidianità e a trarre insegnamento dalle esperienze negative. Mi viene in mente la novella di Andreuccio da Perugia, che fa parte della seconda giornata del Decamerone: Andreuccio all’inizio è un provinciale ingenuo e stordito che, approdato in una grande città come Napoli per comperare cavalli, in una sola notte cade in una serie d’insidie esilaranti per noi, ma tremende per il poveretto. Verrà infatti adescato da una sedicente nobildonna che lo accoglierà a casa sua, nella contrada del Malpertugio (notare il nome), facendogli credere attraverso una storia rocambolesca d’essere una sua sorella ritrovata, intrattenendolo e ubriacandolo al solo scopo di derubarlo della borsa di denari, incontrerà poi dei ladri a cui si unirà, finendo dentro un pozzo e in una chiesa, a predare il corredo funebre di un arcivescovo seppellito con ricchi ornamenti. Man mano che la vicenda si dipana, assistiamo però a un netto cambiamento del personaggio, che si scaltrisce e giunge a ingannare i ladri stessi, tornandosene via da Napoli in possesso del rubino dell’arcivescovo, a cui costoro miravano.

A partire dalla fine del Settecento e soprattutto nell’Ottocento troviamo rappresentazioni del personaggio sempre più complete, inquadrate in una ricostruzione attenta dell’ambiente in cui esso vive, abbiamo descrizioni ricche di particolari non solo fisici ma anche morali… Esempio emblematico sono i ritratti dei personaggi manzoniani: prendiamo la presentazione della monaca di Monza, nel capitolo IX … L’abbigliamento esteriore da suora stride con i tratti della persona che è di “una bellezza sbattuta, sfiorita e, direi quasi, scomposta”  Come possono non imprimersi nella mente del lettore quei “due occhi neri neri” che si fissavano addosso alle persone talvolta “con un’investigazione superba, talora si chinavano in fretta, come per cercare un nascondiglio”… Mi ha sempre colpito, in questa mirabile descrizione, “una ciocchettina di neri capelli” che fuoriusciva sulla tempia dalla benda monacale posta sulla fronte… e l’atteggiamento di Gertrude “ritta vicino alla grata, con una mano appoggiata languidamente a quella, e le bianchissime dita intrecciate nei vòti”… Una figura “viva” già dall’inizio e portatrice, lo si capisce immediatamente, di un terribile dramma interiore… Il personaggio non è più statico, ma dinamico, diventa “individuo” e come tale coinvolge l’attenzione del lettore, che partecipa alle vicende. Da leggere e centellinare anche le presentazioni di fra’ Cristoforo nel capitolo IV e dell’Innominato nel capitolo XX. Personaggi cosiddetti “a tutto tondo”, complessi e in grado di evolversi nel corso della storia.

Ma è nel Novecento che gli autori approfondiscono lo studio dell’animo umano, creando personaggi che, con la nascita della psicanalisi, appaiono sempre più privi di certezze, a volte ambigui, enigmatici, alla ricerca della propria dimensione interiore. La scoperta dell’inconscio, i traumi del passato incautamente rimossi, i sogni repressi a causa di una società rigida e schiavizzante… emergono in primo piano.
Un esempio per tutti: le “maschere” di Pirandello, i suoi personaggi in preda all’angoscia di vivere, in balia di un mondo che non li aiuta, anzi aumenta il loro disagio… personaggi che, a un certo punto, per una sorta di “illuminazione” casuale, scoprono l’assurdità della vita e il tragico destino dell’uomo stesso. Leggete  i racconti: “Il treno ha fischiato” e “La carriola”, che fanno parte delle “Novelle per un anno”. In cui si ride di un riso amaro, provocato da situazioni che da “comiche” diventano “umoristiche” (vedi il saggio pirandelliano “L’umorismo”, pubblicato nel 1908), ovvero è un riso che fa riflettere sulla tragicità dell’esistenza.

Nel Novecento, l’intreccio tende a perdere importanza, a favore di una trama fatta più di stati d’animo che di eventi. Il personaggio è ormai un uomo comune, “Un uomo senza qualità” (titolo di un romanzo di Robert Musil” -1880-1942), un inetto che si lascia vivere, incapace di appassionarsi e dare un senso alla sua vita, in preda a una “malattia”, una “nevrosi”… Come non pensare a Italo Svevo e alla sua “Coscienza di Zeno”? La malattia appartiene al mondo intero, che ha perso di vista il senso del reale…

Anche il tempo, nella narrativa del Novecento, non è più scandito dagli orologi o dai calendari: è il tempo della coscienza, dell’anima. Ci sono istanti che sembrano un’eternità e anni che scorrono in un baleno (non bisogna dimenticare, sul piano scientifico, la teoria della relatività di Albert Einstein e, sul piano filosofico, gli studi del francese Henri Bergson che afferma la visione soggettiva della dimensione temporale.) Anche lo spazio in cui si svolgono le vicende sfugge dal familiare e dal normale, diventando simbolico: basti pensare alla camera da incubo di Gregor ne “La metamorfosi” di Franz Kafka…