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La colazione

ottobre 31, 2016 Author: Margherita Bertella Category: Senza categoria  4 Comments

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Dedico questo breve racconto a tutti i bambini, e ai grandi che bambini sono stati, ma non lo ricordano più.

La colazione

Il fantasmino Nino si destò presto, quel mattino, sebbene avesse ululato tutta notte sulla torre del castello, disturbando Attilio, il pipistrello, che a testa in giù da una trave del soffitto insieme a Ragnatela penzolava e intanto bofonchiava:<<Quanto rompe, questo scalmanato, si fermasse almeno, a riprender fiato!>>
<<Piange, sai, il suo perduto amore, fresca e profumata lei era un fiore.>>, intervenne Meomao, languido accento, sollevando alle travi il mento.
<<Peccato che la perdutamente amata, in un lampo lui abbia strangolata!>>
<<Rimase di stucco, poveretto, scoprendo lei e il fratello dentro il letto!>>, replicò Baffo, il giovincello, mostrando la coda al pipistrello.
<<Uffa! La smettete, tutti quanti?>> sbuffò la pentola posata lì vicino, sognando la pancia sua riempire di aromatica zuppa a ribollire.
<Tanto non mi avrai, vecchia brontolona!>>, ghignò la zucca avanzata dalla fosca di Halloween nottata.  Ma, all’improvviso:
<<Ooooh! Che bella colazione, stamattina!>>, strillò lì sopra una vocina.
<< Non prender me, bambino, non io, io fo pauraaaaa!!!!!>>- Le fauci digrignò la zucca, mettendocela tutta per apparir più brutta. Invano, già l’avea puntata roseo un dito. Spezzata in due, tonfò nel caffellatte e gli altri dietro lei, tuffati a frotte…
Novembre era iniziato, coi biscotti della nonna, delizia del palato.

Omaggio a Shakespeare

ottobre 05, 2016 Author: Margherita Bertella Category: Senza categoria  0 Comments

 

 

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Incredibile pensare che siano trascorsi 400 anni dalla morte di  Shakespeare! Tuttora così attuale, profondo conoscitore dell’animo umano, nei suoi drammi c’è la vita intera… Il mio romanzo “A rischio di vita”, edito nel 2013, è un omaggio al grande William, in quanto ricalca l’Amleto, ma anche se ne discosta.

Piero Corradi, il ragazzo protagonista, è venuto fuori dai meandri della mia testa in modo dirompente, un po’ come la dea Atena nata dalla testa di Zeus. Sono convinta che le cose accadano quando è il momento giusto: anni fa frequentavo un corso di scrittura che mi aveva molto coinvolta, stavamo trattando come argomento i drammi di Shakespeare quando Piero è uscito fuori, pretendendo che ascoltassi la sua storia giorno dopo giorno e la accogliessi sul foglio, dando vita alle sue emozioni. In realtà questo ho fatto: ho tirato fuori il suo dolore per la famiglia smembrata (la madre ha tradito il padre andando a convivere col fratello di lui, il padre ha abbandonato tutto trasferendosi all’estero), l’odio verso lo zio-patrigno, l’odio-amore verso il padre lontano, l’amarezza sfociante a tratti nel disprezzo verso la madre fedifraga, lo sconforto nel sentirsi inadeguato, incapace ad affrontare gli eventi e a mettersi in gioco, essendo divorato dalla lebbra dei dubbi e dell’incertezza, la mancanza di coraggio che lo spinge a rifiutare la nascita di un amore.
La frequentazione fra me e Piero è stata così profonda, così assidua che posso dire di conoscere ogni piega della sua psiche. Conoscendo lui ho conosciuto me, il parto è stato liberazione ma anche dolore, paura di perderlo, di lasciarlo andare…
Io sono Piero sì, ma sono anche Caterina, la sua controparte femminile, una reincarnazione rivoluzionata di Ofelia, che smentisce la famosa affermazione di Shakespeare: “Fragilità il tuo nome è donna!” (riferito nel dramma a Gertrude, la madre di Amleto). Caterina è una ragazza tutt’altro che fragile, porta luce nell’esistenza tormentata di Piero, è lei che gli apre gli occhi, gli dona speranza, riesce a scuoterlo, incitandolo con le parole che danno il titolo al libro “Tutti noi siamo a rischio di vita”, ovvero dobbiamo imparare a vivere rischiando, osando con coraggio, passione e fede nelle nostre capacità.
Io sono Piero, dunque, sono Caterina, ma sono anche Giancarlo, il padre artista elettico, fuori dagli schemi, non classificabile, estroso e idealista, che afferma: “l’amore lascia liberi”, colui che si fa da parte, abbandonando moglie e figlio al loro destino. Io sono anche Anna, la madre traditrice è vero, ma anche la donna che tale vuole essere considerata, e chiede di essere amata quale creatura in carne ed ossa, non messa su un piedistallo e idolatrata come una Madonna. Io sono il perfido zio Luigi, che tanto mi è piaciuto disegnare… Niente è più eccitante del creare un personaggio negativo, perché sarà lui a mettere in moto la vicenda, tramando qua, seminando zizzania là, apparendo in scena quando meno lo si aspetterebbe, sempre con un tocco di classe e un sorriso mefistofelico a fior di labbra…
Grazie, dunque, a Shakespeare per avermi ispirato questa storia, che è Amleto e non lo è, che può piacere o meno, ma resta una tappa fondamentale nel mio cammino artistico, perché questi personaggi sono altrettante parti di me, carne della mia carne, sangue del mio sangue, cuore del mio cuore. Del resto, quando si scrive con sincerità (come in questo caso) viene fuori la nostra vera natura e posso affermare di avere scritto sulla vita, usando l’anima, la pancia, le viscere, versando nelle pagine – senza risparmiarmi – tutta me stessa.

L’Officina dello scrivere ad alta voce riapre le porte

ottobre 01, 2016 Author: Margherita Bertella Category: Senza categoria  0 Comments

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Venerdì 7 ottobre, alle ore 17.30, presso il Centro Giovanile Multimediale Dialma Ruggiero, alla Spezia, l’Officina dello scrivere ad alta voce riapre le porte.
Mi preme fare una precisazione: l’Officina non vuole essere una “scuola” nel senso classico del termine, ma un laboratorio, una fucina di idee (un po’ come quella in cui il dio Efesto, insieme ai suoi aiutanti, forgiava i metalli in opere meravigliose).
L’Officina è aperta a tutti coloro che amano leggere e desiderano cimentarsi (magari già hanno cominciato e vogliono continuare) nella scrittura, per conoscere il mondo e se stessi, comunicare, relazionarsi usando le parole, la lingua vera, non quella stilizzata e telegrafica dei tempi odierni che è pratica sì, ma di sicuro non riesce ad emozionare (mi vengono in mente le “faccine” di face book… gli “Emoticon”, si chiamano così. Ebbene, usando un eufemismo, affermo che io non le amo; quando mi arrivano le osservo sconsolata, mi deprimono anche se hanno un sorriso che va da un orecchio all’altro. Alcuni, temendo che non si capisca il messaggio sottinteso – e spesso è così! – aggiungono un aggettivo tipo: “triste, pentito, curioso, pregando, supplicando” … Ahimé, che tristezza davvero!).
Impariamo ad usare le parole della nostra lingua, (vi consiglio un bel libro di Gianrico Carofiglio, dal titolo “La manomissione delle parole”), rispolveriamo il vocabolario d’italiano, tutti l’abbiamo in casa dai tempi di scuola, se non il nostro almeno quello dei figli… impariamo a consultare anche un manuale di “sinonimi e contrari” che non guasta, perché capita di usare le parole a sproposito, senza conoscerne il significato.
Diamo voce alle emozioni, anche se una famosa canzone afferma che “l’emozione non ha voce”. Vero, a volte le parole non servono, uno sguardo dice tutto. Non si tratta però di perdersi nel bla-bla e riempire la testa nostra e del prossimo di suoni vuoti, ma di usare le parole con consapevolezza e discernimento, per fare chiarezza, non per confondere l’interlocutore.
Se non riusciamo ad esprimerci a voce proviamo a prendere carta e penna e scrivere quel che ci sta a cuore. Una lettera scritta a mano, come quelle di un tempo, avete presente? Nessuno lo fa più? Roba da brontosauri? Meraviglioso! Non dobbiamo farci influenzare dal giudizio altrui, osiamo andare contro corrente, seguiamo il flusso del nostro fiume ineriore! Procediamo sul nostro sentiero personale, senza omologarci al branco!
Scrivere è una magia, una terapia, un percorso di scoperta. Lasciamo la riva con le sue certezze, le abitudini, la solita muffa. C’è bisogno di aria nuova, molliamo gli ormeggi e partiamo! Verso cosa? Lo scopriremo cammin facendo.

L’abete

settembre 11, 2016 Author: Margherita Bertella Category: Senza categoria  0 Comments

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Un albero non muore mai, dissi tempo fa alle esequie di una carissima amica, leggendo un brano della lettera che le avevo scritto quando già era malata. Lo ripeto: un albero non muore mai, quand’anche cadesse feconda la terra rimarrebbe ai suoi piedi, linfa per nuova vita. Tuttavia, quando un albero viene tagliato dalla mano dell’uomo, per i più svariati motivi, a me piange il cuore. Ho dedicato questi versi a un abete maestoso che fiancheggiava, insieme ad altri (abeti, lecci e cipressi) la scalinata che sale al convento dei frati cappuccini di Monterosso al mare. Mi manca, se guardo su, dalla spiaggia, vedo il vuoto che ne ha preso il posto e penso a lui, al mio amico bellissimo. Spero che s’innalzi ora da qualche altra parte, e in un’altra dimensione offra riparo a miriadi di uccelli, su sfondo di prati verdissimi e dolci colline bagnate da un sole che non tramonta.

L’abete

Lungo l’inverno, appena passato
la spiaggia a calcare il passo è tornato
inquieta, lo sguardo volgo all’intorno
la brezza mi sfiora d’un nuovo giorno
qualcosa, nell’aria lo avverto, è mutato:
secco l’abete è stato tagliato!

In foto o dipinti quei rami adoravo
maestoso, sovente, il suo tronco abbracciavo
ferita sul fianco del colle ora appare
mai più l’arabesco di fronde sul mare.

Sebbene seccato, era appoggio agli uccelli
passeri e merli, variopinti fringuelli
sonate di vento, aerea canzone
al suo fianco sostare era pura emozione.

Sul ceppo mozzato han già inciso gli amanti
nomi intrecciati, date d’incontri
la mano ho posato su quel che rimane
il tuo spirito antico mi ha parlato, stamane.

Insieme per sempre, sì, fratello selvaggio
imperdibile amico, compagno di viaggio.

Lucrezia

agosto 23, 2016 Author: Margherita Bertella Category: Senza categoria  0 Comments

 

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Da un po’ volevo dedicarle una poesia, ma non doveva essere programmata. Io non costruisco “a tavolino”, lascio che il pensiero fluisca e le parole si sgranino da sole. E così è stato anche stavolta.

Lucrezia

T’han fatto del male
piangevi sì forte
appena arrivata
ti ho aperto le porte
del cuore mio matto
e tu eri lì
pronta all’acquatto.
Ci siamo trovate
un po’ “fuori”, due strambe
ora mi cerchi, ti strusci
zuccate, oh quante!
Naso-naso hai imparato
sui piedi mi dormi
li mordi e cavalchi
da quella sera
che t’hanno portata
e dicevan eri nera
per il nuovo trasloco
ma è durato assai poco
l’hai letto nell’aria
negli occhi nel cuore
tutto il mio amore
sensuale ruffiana
magica pazza
manto di lince
pose da sfinge
occhi selvaggi
emanano raggi
scatto di belva
dea della selva
dal nobile nome
che sfoggi distratta
mitica gatta.
Tu sei come me
chi non ci apprezza
si sposti più in là
noi coppia facciamo
eccoci qua!